5212 condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti (!!!). Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni duosiciliane dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione".L'invasione piemontese del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben più di una semplice sconfitta militare per quest’ultimo e si può affermare che essa ha tanto inciso sulla nostra vita sociale ed economica che ancora oggi viviamo nell'atmosfera creata da quell'evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti.
Diventarono sistematiche la pratica della tortura e le ritorsioni sulla popolazione inerme, con stragi di interi villaggi e la distruzione dei raccolti per affamare i paesi dove si trovavano i resistenti legittimisti. La guerra per la definitiva conquista piemontese, durata circa 10 anni, costò al Regno delle Due Sicilie oltre un milione di morti, 54 paesi rasi al suolo, 500.000 prigionieri politici, l'intera economia distrutta e la diaspora di molte generazioni.
L'Ansaldo di Genova, ad esempio, che era una piccola officina, nacque praticamente con i macchinari dello Stabilimento di Pietrarsa, presso Napoli. Nel 1862 chiusero la maggior parte degli opifici tessili, le cartiere, le ferriere della Calabria, le concerie. Alle ditte lombardo-piemontesi furono affidati i lavori pubblici da compiere nelle province duosiciliane. La solida moneta duosiciliana d'argento e di oro fu sostituita da quella cartacea piemontese. L'economia meridionale ebbe così un crollo verticale e la disoccupazione si aggiunse al dramma della guerriglia.
Nel 1863 il debito pubblico piemontese fu unificato con quello di tutto il resto d'Italia. Il Sud "liberato" ne sopportò tutte le spese. Da quell'anno incominciò l'emigrazione, che in pochi anni diventò una vera e propria diaspora. A tutt'oggi sono emigrati dal Sud dell'Italia circa 20 milioni di persone che si sono sparse in tutto il mondo. Nel 1864 furono espropriati e venduti tutti i beni ecclesiastici e demaniali del Sud, il cui ricavato venne usato per il rilancio dell'agricoltura della Valle Padana. È di quell'anno lo scandalo delle speculazioni Bastogi nella costruzione delle ferrovie meridionali.
Intanto in Sicilia, per catturare i renitenti alla leva, interi paesi venivano circondati e privati dell'acqua potabile. I renitenti trovati, oppure i loro parenti, venivano fucilati come esempio. Interi boschi furono bruciati perché i "briganti" non avessero più la possibilità di rifugiarvisi.
Nel 1865 fallirono quasi tutte le fabbriche meridionali, perché senza più commesse. In quell'anno il carico fiscale venne aumentato dell'87%, ma il danaro così drenato fu tutto speso al Nord. Soprattutto quello tratto dall'agricoltura meridionale che finanziò le nascenti imprese industriali del Piemonte e della Lombardia.
Il col. Fantoni, in terra di Lucera, dopo aver vietato l’accesso alla foresta del Gargano, fece affiggere un editto che disponeva che: «Ogni proprietario, affittuario o ogni agente sarà obbligato immediatamente dopo la pubblicazione di questo editto a ritirare le loro greggi, le dette persone saranno altresì obbligate ad abbattere tutte le stalle erette in quei luoghi ... Quelli che disobbediranno a questi ordini, i quali andranno in vigore due giorni dopo la pubblicazione, saranno, senza avere riguardo per tempo, luogo o persona, considerati come briganti e come tali fucilati». SI COMINCIA A CHIAMARLI TUTTI "BRIGANTI" E IL FENOMENO DELLA PARTIGIANERIA LOCALE "BRIGANTAGGIO".
La Capitanata, il Gargano e la Terra di Bari erano in concreto nelle mani dei patrioti nel 1862. Lo stillicidio delle continue perdite subìte in luglio dai piemontesi indusse il governo piemontese a sostituire il comandante della zona, generale Seismit-Doda, con il generale massone Gustavo Mazé de la Roche. Costui, per tagliare i rifornimenti ai gruppi patrioti, fece incendiare i pagliai, fece murare le porte e finestre delle masserie e fece arrestare tutte le persone che circolavano fuori degli abitati.In quel mese di ottobre 1862 vi furono moltissime, alcune violente, manifestazioni di quasi tutte le popolazioni delle Puglie e della Basilicata. I contadini si rifiutarono di eseguire i lavori nei campi per protestare contro gli abusi e le violenze dei soldati piemontesi. Alcuni contadini furono fucilati dalle truppe piemontesi "per dare l'esempio".
Il 16 novembre 1862, nonostante l’opposizione di La Marmora, fu revocato da Rattazzi lo stato d’assedio nelle province meridionali, ma in realtà rimasero ancora in vigore la soppressione di tutta la stampa non governativa ed il divieto di introdurla nel Mezzogiorno e la sospensione delle libertà d'associazione e di riunione.Addirittura furono intensificati gli arresti di semplici cittadini solo per il fatto di essere “sospetti” patrioti borbonici.
In Capitanata, per ordine del generale Mazé de la Roche e del prefetto De Ferrari, furono compilate liste d'assenti dal proprio domicilio e dei sospetti, furono istituiti fogli di via senza dei quali nessuno poteva uscire dagli abitati, imposero l’abbandono delle masserie e il divieto di portare generi alimentari nelle campagne. Nell’avellinese furono perquisite e saccheggiate le case degli assenti, ai contadini fu ordinato di trasferirsi nei paesi con le masserizie, il bestiame ed il raccolto.
Divenne sistematico l’arresto dei parenti fino al terzo grado dei patrioti. Le popolazioni, che già vivevano nel terrore e nei soprusi dei piemontesi, vissero in quei lunghi mesi in modo veramente tragico, anche perché ogni attività lavorativa fu in pratica soppressa e la vita economica e sociale ne fu paralizzata.
Il giorno 11 dicembre 1862 i patrioti duosiciliani a cavallo di Michele Caruso assaltarono vittoriosamente a Torremaggiore la 13ª compagnia del 55° fanteria, che tornava da Castelnuovo della Daunia, dove aveva compiuto operazioni di leva. In Capitanata, reparti dell’8°, del 36° e del 49° fanteria, comandati dal colonnello Favero, attaccati il 31 dicembre 1862 da un consistente numero di patrioti vennero sterminati con perdite superiori ai 150 morti.
Il Popolo delle Due Sicilie, in tutta la sua lunghissima storia, non ha mai fatto una guerra d'aggressione contro altre genti. Ha dovuto, invece, sempre difendersi dalle aggressioni degli altri popoli, che lo hanno assalito con le armi o con le menzogne.Ancora oggi dal Nord dell'Italia, per una congenita ignoranza, alimentata continuamente dalla propaganda risorgimentale avallata dallo Stato "italiano", siamo ancora puerilmente aggrediti con violenze verbali, con luoghi comuni sui "meridionali".
I Duosiciliani veraci, tuttavia, sanno di far parte di un paesaggio unico e inconfondibile, sanno che il loro animo è immutabile e viscerale, e proprio per questo, dovunque si troveranno, si porteranno sempre dietro questa loro contraddizione: quella di essere diventati forzatamente "italiani".
Meridione e briganti: ma che si insegna a scuola? di MARISA INGROSSO (19/10/2009)
Il Napoletano è come «un vaioloso nel letto», una «cancrena». Il Mezzogiorno è «affamato», «arretrato», «è Africa!». Il Nord è «sviluppato», «industrializzato» e «liberale ». Nord e Sud «due civiltà differenti». Infine, il brigantaggio: «bande composte da contadini insorti e autentici briganti» che «colpivano con incendi, furti e omicidi tutto ciò che rappresentava lo Stato italiano». Praticamente, terrorismo eversivo. Eccoli, in breve i concetti che i giovani italiani imparano a scuola (la scuola pubblica!).Le frasi si trovano sui libri di testo di Storia usati, negli ultimi anni, in 3ª media e al 4° anno delle medie superiori. Senza alcuna pretesa di esaustività, la «Gazzetta», si è messa ad esamine questi testi, a campione. L’esito è preoccupante. ALLE MEDIE - Prendiamo l’edizione 2004 del testo numero 3, edito da Atlas, e intitolato «Storia ed educazione alla cittadinanza - Da Napoleone ai nostri giorni». È un testo adottato alle scuole medie. A pagina 97 c’è il paragrafo «La questione meridionale e il problema del brigantaggio». Gli autori (Zaninelli, Bonelli e Riccabone) affermano subito che «il Mezzogiorno era entrato a far parte del nuovo Stato unitario in condizioni di svantaggio». Non spiegano di che «svantaggio» trattasi però lo lasciano capire: i braccianti non possedevano terre mentre «vasti possedimenti restavano incolti per il disinteresse del proprietario» (latifondisti pigri?).Correttamente enumerano i motivi di scontento delle popolazioni meridionali nei confronti dei Piemontesi: le tasse esose, il loro servizio di leva obbligatoria e le promesse mancate (la, mai attuata, riforma agraria). Questa «sfiducia nell’autorità», secondo gli autori «portò alla nascita di organizzazioni illegali e di bande di briganti». Per batterli, «lo Stato fu impegnato in una vera e propria guerra nella quale furono utilizzati oltre 160.000 soldati». In quella pagina c’è soltanto una immagine. «I briganti praticavano da sempre il sequestro di persone per ottenere riscatti in denaro».È una stampa a colori. Una grossa didascalia che dice: «Il capitolo si chiude senza mai accennare al ruolo dei grandi alleati di quelle «organizzazioni illegali» e «bande di briganti», cioè i Borbone e la Chiesa. Chi ha studiato su quel libro, quindi, può ben ignorare i motivi e gli ideali, che pure mossero migliaia di uomini e donne. Per quei ragazzini (che oggi hanno tra i 17 e i 18 anni) il brigante sarà qualcosa che sta a metà tra un morto di fame e un criminale. Altri autori (Brusa, Guarracino, De Bernardi) altro libro di testo per la 3ª media («Il nuovo racconto delle grandi trasformazioni - Dall’Europa delle nazioni alla società globale»), altro editore (Edizioni scolastiche Bruno Mondadori).Questo libro veniva usato quattro anni fa. Ai briganti dedica mezzo paragrafo, che inizia così: «Dall’estate del 1861, e in maniera sempre più intensa, nei due anni successivi, nelle regioni meridionali (ma non in Sicilia) comparvero bande composte da contadini insorti e autentici briganti».Il brigantaggio non c’era in Sicilia dopo il 1861? Può darsi. Ma i Carabinieri la pensano diversamente. Loro, in Sicilia, hanno arrestato briganti almeno fino al 1874. Proprio sul sito ufficiale dell’Arma (www.car abinieri.it), c’è una pagina de «L’Illustrazione Universale » datata 15 novembre 1874, in cui si riporta dell’arresto, avvenuto l’11 ottobre di quello stesso anno, di «Anzalone Cataldo e Salvo Andrea, noti capi briganti». Ma continuiamo a leggere il libro di Storia. Le «bande» di «contadini e autentici briganti» in questo caso sono state «appoggiate» da «ufficiali del vecchio esercito borbonico », ma soltanto «in principio» e, comunque, la loro attività era questa: colpire «con incendi, furti e omicidi tutto ciò che rappresentava lo Stato italiano e chiunque si schierasse dalla parte delle autorità pubbl iche». In questo caso, secondo gli autori, per la repressione del brigantaggio «furono impiegati 120.000 uomini», e non 160.000. Ciò detto, bisogna segnalare una nota di merito: a corredo di questo testo di Storia c’è anche, allegato, un libro per gli esercizi (firmato da Bresil, Pedron, Pontalti, Tamburiello).
Quì c’è un intero capitolo, denominato «Storie di briganti», che è ricco di informazioni, documenti e grandi e belle immagini di briganti e brigantesse.Le indicazioni su «come utilizzare l’iconog rafia sul brigantaggio» spiegano che ci sono un sacco di foto di quelle persone perché i briganti «si facevano fotografare o venivano fotografati loro malgrado, anche dopo la fucilazione». AL LICEO - Cinque anni fa, nei licei c’era la 2ª edizione del volume 2 de «La storia - Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ot - tocento» (Zanichelli editore). Porta la firma illustre di Aurelio Lepre. Il professore (ordinario di Storia contemporanea all’Uni - versità degli Studi di Napoli Federico II), ha scritto libri bellissimi sul Mezzogiorno e il suo equilibrio e la sua competenza si ritrovano in questo testo per le scuole anche quando tratta il fenomeno del brigantaggio. Ciò che lascia perplessi è il discorso Nord-Sud.Il capitolo «La costruzione dello Stato e della nazione» si apre con una sequela di insulti razzisti pronunciati da settentrionali o da meridionali che vivevano al Nord già da molto tempo. Il primo cui Lepre dà la parola è Massimo d’Azeglio. Il piemontese, che fu politico e letterato, è famoso per la sua: «Abbiamo fatto l’Italia, ora si tratta di fare gli italiani». Invece la frase che tocca in sorte ai liceali del 2005 è: «La fusione coi Napoletani mi fa paura. È come mettersi a letto con un vaiuoloso».
Cui Lepre fa seguire l’esternazione del romagnolo Luigi Carlo Farini (luogotenente di Cavour nel Mezzogiorno) che dei meridionali dice: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa!». Poi Lepre raccoglie il pensiero dello scrittore Giuseppe Bandi secondo cui i siciliani erano dei «beduini» e la loro lingua era «africanissima». E, infine, l’autore lascia passare il parallelismo tra il Napoletano e una «cancrena», sostenuta sia da Farini, sia dal siciliano Giuseppe La Farina. Lepre non ha ritenuto utile mettere a «contrappeso» alcuna presa di posizione filo-meridionale. Anzi, spiega che a fondamento di giudizi così drastici i settentrionali avevano una «preoccupazione di carattere politico» e «c’era anche la convinzione che fino a quel momento non era esistita una sola civiltà italiana, ma due civiltà differenti per tradizioni, costumi e indole della popolazione». Sì, «indole», così scrive Lepre. E i meridionali «sudisti» dell’epoca cosa pensavano del Nord? E dell’«indole» dei Piemontesi? Chi ha studiato su quel testo, purtroppo, lo ignora. Quei ragazzini (e il pensiero va soprattutto ai meridionali) che hanno studiato e mandato a memoria quelle frasi oggi hanno tra i 21 e i 22 anni.I PROFESSORI - Tutti i concetti fin qui riportati, se non mediati da docenti avveduti, equilibrati e molto ben preparati, possono convincere i giovani meridionali dell’esistenza di una storica inferiorità? Viceversa, possono alimentare un senso di storica superiorità nei piccoli settentrionali? La risposta sta a ciascuno. Ma magari, quest’anno, facciamo in modo di leggerlo il libro di testo di Storia dei nostri ragazzi. ( ingrosso@gazzettamezzogiorno.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )
da La Gazzetta del Mezzogorno
La verità dopo 150 anni come per i pellerossa (19/10/2009)
Il brigantaggio meridionale e la Guerra di secessione americana hanno un mucchio di punti in comune. Non soltanto perché si svolsero praticamente in contemporanea ma anche perché si trattò di due guerre fratricide. Secondo molti storici i paragoni, però, finiscono qui perché - a loro dire - in Italia non fu guerra civile. Secondo loro, chi combattè l’esercito dei Savoia non era mosso da «ideali patriottici». Su questo forse bisognerebbe ragionare più a fondo. Ma, volendo soprassedere, c’è un’altra guerra, pure coeva, che può essere di insegnamento per come è stata prima dimenticata e poi - finalmente - portata alla luce.
Stiamo parlando della «conquista del West». Pensiamo allora alle frotte di bambini che, per generazioni, hanno giocato a indiani e cow-boy. L’indice teso e il pollice alzato: «Pam! Pam!». Le regole, per lustri e lustri, sono state semplici: l’uomo bianco, il cow-boy, era il «buono»; il cattivo pellerossa finiva per terra. Fino a un pugno di anni fa a ripeterlo erano i nonni, ma anche il cinema (basta guardare i vecchi film con John Wayne), ed era scritto pure nei libri di scuola. È stato così per circa un sec olo.
Uno dei più efferati massacri di indiani d’America risale proprio all’epoca del Brigantaggio, al 1864. Quell’anno, a Sand Creek, 133 Cheyenne e Arapaho furono barbaramente uccisi, i loro cadaveri mutilati (105 erano donne o bambini). A Sand Creek avrebbe dovuto morire il mito del cow-boy buono e dell’indiano cattivo. Non fu così. Nel corso dei decenni, storici, politici, giudici, artisti, si sono adoperati per fornire un’altra versione della guerra tra americani bianchi e americani pellerossa. Ma sono rimasti inascoltati dalle folle. Insomma, le menti migliori sapevano come erano andate le cose, ma per la gente comune non è facile gettare alle ortiche 100 anni di falsità. Ci vuole la chiave giusta, perché la «mappa mentale» collettiva non ama i dubbi. Preferisce fare «Pam! Pam!» e credere che l’uomo bianco è il «buono». Punto.
Poi, nel 1970, sono arrivati il film Soldato blu, diretto da Ralph Nelson e Il piccolo grande uomo, diretto da Arthur Penn e con uno strepitoso Dustin Hoffman. Nel 1981, la sensibilità magnifica di Fabrizio De Andrè regalò agli italiani la canzone Fiume Sand Creek. E, a corona, nel 1990, arrivò Balla coi lupi. I film e le canzoni arrivarono alla gente. Erano la «chiave giusta». Il loro messaggio era potente: gli indiani non sono i cattivi, i bianchi non sono i buoni, tutto è dannatamente più complicato. Sottotitolo: «Vi hanno presi in giro per cent'anni».
In un baleno, è cambiata la mappa mentale dell’opinione pubblica del globo, anche quella degli italiani. Qual è il senso? L'America ha dimostrato a se stessa (e al resto del mondo) di aver capito l’importanza della Storia, quella autentica, con le sue crudeltà. Gli americani si sono riappropriati del loro stesso passato. In conseguenza di ciò il Paese non si è spaccato, anzi. La verità è stata un balsamo. I bianchi sono guariti dal cancro dell’arroganza da «civilizzatori » e agli indiani e alle loro tradizioni e sapienze fu restituita dignità. Tutta la dolorosa epopea della conquista del West, oggi, fa parte integrante del patrimonio storico-culturale del popolo americano.
Sotto la presidenza di Bill Clinton, il Congresso degli Stati Uniti ha presentato le scuse ufficiali agli indiani per l’eccidio di Sand Creek. Per reciproca memoria, sul luogo della strage è stato eretto un monumento. In Italia, ogni benedetto libro di Storia adottato dalle scuole, racconta in modo critico la «Storia del West». I nostri ragazzi studiano cosa accadde nel 1864 dall’altra parte dell’Oceano. Conoscono i Sioux e il Generale Custer. Ma, spesso, non sanno cosa è successo quell’anno nel loro Paese, magari proprio nella loro città. Alle volte non trovano una parola, manco una, sulla guerra fratricida che si combattè nel Mezzogiorno. Non sanno «chi» erano i briganti, oppure sanno che erano unamanica di criminali depravati. Ai giovani meridionali stiamo insegnando che i loro avi erano i «cattivi», pur sapendo che tutto è dannatamente più complicato.
(Marisa Ingrosso) da La Gazzetta del Mezzogiorno
mercoledì 6 gennaio 2010
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